La scuola nelle società multietniche |
Scritto da G.Costantino | |
domenica, 06 marzo 2016 06:24 | |
Identità sociale tra multiculturalismo e liberalismo La società in generale e l'economia in particolare si attendono molto dal mondo della scuola; per contro il mondo della scuola sembra attendersi poco da quello dell'economia, visto come un mondo che intende imporre alla scuola i suoi standard di valutazione e quindi certi criteri per selezionare contenuti e forme scolastiche; giustificata pertanto la diffidenza che gli insegnanti più avvertiti riservano all’alternanza scuola lavoro prevista dalla Legge 107 o come mediaticamente appellata Buona scuola, mentre tutte le componenti del sistema scolastico si sono sempre misurate con generosità con le istanze provenienti dalla società, l'ultima delle quali è la modificazione della popolazione scolastica per la presenza di alunni figli di immigrati.
Il sistema educativo è chiamato a fornire "cultura" e nel contempo "competenza professionale", a fornire quindi tradizione e innovazione. Come strumento orientato a fornire cultura esso ha il compito primario di formare in primo luogo il cittadino, in quanto soggetto che condivide un sistema di valori con i quali si definisce l'identità sociale. Come strumento orientato a fornire "competenza professionale", il sistema educativo nazionale deve fornire i mezzi per essere cittadini del mondo, per affrontare nel modo migliore la competizione economica che sempre più è internazionale. La cultura e la competizione "le due agenzie determinanti il mercato", secondo la definizione di J. S. Mill, non hanno il medesimo peso specifico nelle diverse fasi storiche. Nelle società tradizionali (quelle precapitalistiche) è la cultura (intesa come insieme di norme sociali, convenzioni che regolano le relazioni interpersonali) l'agenzia trainante. Nelle società moderne sono invece le forze della competizione a prevalere e ciò nella misura in cui tali forze finiscono con l'erodere progressivamente quegli spazi dell'attività economica che si reggono su convenzioni e norme sociali. Questa rappresentazione prevede, dunque, che con l'andar del tempo la sfera delle relazioni economiche risulterà regolata, pressoché integralmente, dalle sole forze delle competizione; quindi la modernità, quale tappa del processo di evoluzione culturale, tende inesorabilmente a sostituire le leggi anonime e impersonali del mercato alle relazioni interpersonali. Tuttavia tale sostituzione non sarà mai completa. La "cultura" non potrà mai essere completamente rimpiazzata dalla "competizione", vi saranno sempre ambiti di attività economica nei quali non troverà applicazione il principio che regola le transazioni di mercato (scambio di equivalenti). Resterà pur sempre in essere, anche nella più moderna delle società di mercato una sfera di relazioni economiche che saranno regolate da convenzioni e norme sociali. Chi come noi vive in cittadine di piccole dimensioni, come Trebisacce, ne fa esperienza: la raccolta delle olive non produce PIL in quanto il prodotto viene scambiato con il lavoro, così come le cassette di agrumi portate in dono a parenti e amici. L'individualità relazionale, a differenza dell'individualità atomistica è ciò che consente di fare stare assieme, senza lacerazioni, bene del singolo e bene comune. Sobrietà nello uso delle risorse della terra e cura per quello che lasceremo alle generazioni future. Preoccupazione per le sorti del pianeta espressa ripetutamente da Papa Francesco che sembra aver accantonato l’etica dell’intenzione della tradizione cattolica e aver abbracciato l’etica della responsabilità di Hans Jonas. Orientare all'universalità è essenziale per una nozione forte di libertà, mentre il globale sembra essere la perversione dell'universale e il locale la chiusura nel particolare. La stessa azione sociale delle religioni dovrebbe far passare un messaggio universalistico perché in mancanza di questa prospettiva finiranno per avere buon gioco i pazzi di Dio ( l'Islam e il Cristianesimo stanno canalizzando le forme di protesta in sostituzione del Comunismo come racconto universale) L'11 settembre ha evidenziato un mutamento di funzione delle religioni nel mondo globalizzato: da comunità di fede esse tendono a trasformarsi in medium di identificazione simbolica e surrogato di appartenenza. Ma nel momento in cui divengono blocchi identitari finiscono inevitabilmente per tracciare una netta linea di demarcazione tra "noi" e "gli altri", proprio allo steso modo delle tanto vituperate ideologie. Come è possibile ricostruire l'universale? Non di certo partendo da una nozione di identità data dalla comunità, dallo stato nazionale o dalla religione (queste neo-identità Antony Appiah le ha definite "nuove tirannie"). Se poi si affida l’identità al Tu scendi dalle stelle biascicata da un ex ministra della Pubblica Istruzione e alla direttiva inviata dal ministero degli interni a tutte le prefetture di allestire nei loro uffici adeguata rappresentazione della natività, siamo al grottesco. Nell'osservare questo imperialismo dell'identità è cruciale ricordare che non siamo semplicemente neri o bianchi o gialli; gay o eterosessuali o bisessuali ebrei o cristiani o mussulmani o buddisti o confuciani, ma siamo anche fratelli e sorelle; genitori e figli; liberali, conservatori, progressisti; insegnanti, medici, meccanici avvocati, giardinieri; appassionati della musica jazz e amanti di Mozart; cinefili, lettori di libri gialli; poeti e amanti degli animali; amici e amanti. Il bisogno di definirsi, per quanto sia importante, è perfettamente compatibile con il riconoscimento della pluralità, delle lealtà conflittuali, della domanda di giustizia e di clemenza cosi come dell'affetto e della solidarietà. Questo riconoscimento della pluralità e della diversità la si può rinvenire sul nostro territorio; non c’è associazione culturale che non lo preveda tra le sue attività.. Perché insistere su una determinata identità di gruppo quando la possibilità di identità multiple variano in funzione del contesto. Gandhi ha deliberatamente deciso di dare priorità alla sua identità di indiano impegnato a favore dell'indipendenza dell'India dal dominio britannico rispetto alla sua identità di avvocato formatosi al rispetto della legge inglese. Oppure essere nato in un determinato paese o all'interno di una specifica cultura, non necessariamente preclude la possibilità di formarsi un punto di vista o una lealtà diverse da quelle della maggioranza delle persone che vivono in quel paese o che hanno quella cultura. I comunitaristi sostengono che l'identità di una persona è qualcosa di intrinseco più che qualcosa che egli può determinare. L'organizzazione sociale si configura come un tentativo di "creare opportunità per gli uomini affinché diano voce a quello che hanno scoperto circa loro stessi e il mondo e affinché persuadano gli altri del valore di quello che hanno scoperto. Amartya K. Sen, al contrario, ritiene difficile immaginare che, in realtà, non abbiamo alcuna concreta possibilità di scelta fra identificazioni alternative e che dobbiamo semplicemente "scoprire" la nostra identità, pur ammettendo che le scelte che abbiamo non sono illimitate. Le opzioni reali che abbiamo circa la nostra identità sono sempre limitate dalle nostre sembianze, dalle circostanze in cui operiamo, dal nostro background e dalla nostra storia. A dare forza a queste neo-identità provvedono ancora alcune teorie ispirate al comunitarismo che presentano l'identità sociale come il principale fattore che influenza la comprensione del mondo da parte delle persone, il loro modo di ragionare, le loro pratiche di comportamento, la loro moralità personale e il loro impegno politico, fino a sostenere che non è possibile invocare alcun criterio di comportamento razionale diverso da quelli che sono applicati nella comunità alla quale le persone coinvolte appartengono. Gli stessi giudizi morali di una persona dovrebbero inoltre essere spiegati a partire dai valori e dalle norme della comunità a cui la persona appartiene ed essere valutati da un punto di vista etico solo nell'ambito di quei valori e di quelle norme, con ciò si nega la possibilità che una persona possa rifarsi a norme alternative.. Si nega la possibilità di giudizi normativi interculturali circa il comportamento e il rapporto con le istituzioni e si mette persino in discussione lo scambio e la comprensione fra culture diverse, legittimando ghetti contigui di culture, e con l'espressione "rispetto per le altre culture" passano a volte forme di razzismo multiculturale. Le conseguenze politiche possono essere trasparenti o indirette, in ogni caso influenti. Rispettare le usanze; ma che succede se le usanze sono cattive? Esistono società schiavistiche e società divise in caste, altre impongono la mutilazione degli organi genitali femminili o negano sistematicamente l'istruzione e i diritti alle donne. In alcune società è assente la libertà di espressione politica, le differenze di lingua o di religione implicano un diverso stato legale e civile. Qui sorge un conflitto. Da una parte c'è l'idea relativista, dall'altra molti di noi sono profondamente convinti che cose del genere non dovrebbero succedere e che non dovremmo assistervi senza far nulla. E' naturale quindi affidarci al linguaggio della giustizia e dei "diritti. Esistono i diritti umani fissati in documenti come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, che sono irrisi e negati da queste pratiche. Si tratta di un problema che riguarda tutti. I relativisti ci dicono che sono criteri solo nostri. Chi siamo noi per imporli ad altri? Noi non stiamo solo "imponendo" criteri ristretti, occidentali, quando in nome dei diritti umani universali, ci opponiamo all'oppressione esercitata sugli esseri umani a causa del sesso, della casta, della razza o della religione. Non si tratta di imporre qualcosa, quanto piuttosto di collaborare con gli oppressi e favorire la loro emancipazione. Cosa ancora più importante, non è affatto detto che i valori da noi sostenuti siano così estranei agli altri. Di solito sono solo gli oppressori che parlano a nome della loro cultura o del loro modo di fare le cose. Non sono gli schiavi ad apprezzare il valore della schiavitù, le donne ad apprezzare di non poter lavorare o le ragazze ad apprezzare la mutilazione. Sono i bramini, i mullah, i sacerdoti e gli anziani a ritenersi i portavoce della loro cultura, Le opinioni degli altri spesso non hanno alcuna rilevanza, proprio come i vincitori scrivono la storia, così chi comanda scrive le ragioni per cui il potere si trova nelle sue mani. I razzisti, gli sfruttatori tendono sempre a raccontare a se stessi una storia che giustifichi il loro sistema.
Una scuola libera può contribuire a mettere in discussione il narcisismo narrativo dei persecutori e renderlo molteplice. Qui non si intende però che si debbano moltiplicare i luoghi comuni e le piccole patrie, si avrebbe il risultato di moltiplicare le narrazioni uniche e perciò i silenzi e le persecuzioni.
La molteplicità e la pluralità possono vincere, dall'interno, l'irrigidimento dei confini e il loro silenzio totalitario. Simmel nella sua Sociologia la descrive come la risultante dell'intersecarsi in un punto d'una molteplicità d'appartenenze e di vincoli da quelle più date e casuali - l'ambiente e l'epoca in cui si nasce, la famiglia, il sesso, - che da sole lo incatenerebbero al suo destino, a quelle più eterogenee, fondate su relazioni di contenuto - pensiero, emozione, ideologia, affetto, interesse e così via - nelle quali agisce un elemento di libertà. Una questione di libertà dunque, un concreto e singolare poter "attraversare" una narrazione e oltrepassare i confini, forti di altre narrazioni e confini a nessuno dei quali sia però riconosciuta un'assolutezza per così dire senza appel Conviene a ciascuno e a "tutti noi", in quanto esseri insostituibili, opporre all'assoluto del "noi tutti", che significa esattamente il contrario, la prassi delle molte storie, sempre pronti a metterne ognuna in questione. Si diceva una questione di libertà, ma il multiculturalismo sembra paralizzare il liberalismo. Ancora una volta alcune teorie comunitarie si sono poste in contrasto con le tesi etiche della giustizia liberale concentrandosi su norme e su consuetudini diverse dall'interesse per la giustizia come, ad esempio, i valori sociali del prendersi cura dei membri della stessa comunità. Queste critiche alle cosiddette "teorie liberali della giustizia" tra cui spicca la teoria della "giustizia come imparzialità" di John Rawls (con le sue forti implicazioni egualitarie) non colgono nel segno giacché, almeno per quanto riguarda il comportamento individuale questi valori sono ritenuti importanti nel sistema rawlsiano. Una persona può essere motivata a fare molto più per affetto e per amore, di quanto non sarebbe richiesto dalle regole della giustizia. Ma ciò non può eliminare il bisogno di regole di giustizia dal momento che tra individui coinvolti nell'interazione sociale ci sono quelli che non sono saldamente legati agli altri da affetto e disponibilità spontanea. La società umana può aver bisogno anche di qualcosa di più della giustizia, ma ha certamente bisogno della giustizia. L'equità richiede principi di giustizia, tenendo conto che l'affetto e la lealtà potrebbero non soddisfarli automaticamente. (E’ quanto avrà maturato il vescovo della nostra Diocesi, Mons. Francesco Savino, quando usa prioritariamente il linguaggio dei Diritti e poi quello della Carità e della Misericordia.) Ritenere che non abbiamo scelta nella definizione dell'identità sociale, per A. K. Sen, non solo è un errore ma può dar luogo a implicazioni molto pericolose. Se le scelte esistono, e se tuttavia viene fatta l'ipotesi che non ci siano, l'uso del ragionamento può essere sostituito da un'accettazione acritica di un comportamento conformista, che induce a scelte che verrebbero altrimenti rifiutate. Di solito un conformismo di questo tipo può avere implicazioni conservatrici, proteggendo costumi e pratiche da una intelligente analisi critica. Infatti, le disuguaglianze che derivano dalla tradizione, come la condizione delle donne nelle società sessiste, spesso sopravvivono, rendendo le corrispondenti identità, in particolare il ruolo sottomesso di chi è abitualmente nelle condizioni più svantaggiate, una questione di accettazione incondizionata, piuttosto che oggetto di un esame critico. Ma le supposizioni incontestate sono semplicemente non contestate e non non- contestabili. Molte pratiche tradizionali e presunte identità sono crollate dopo essere state messe in discussione ed essere state sottoposte ad un giudizio critico. Tuttavia l'accettazione acritica di un'identità sociale può non avere sempre implicazioni conservatrici. Può anche comportare un cambiamento radicale nell'identità, accettata come una componente di una presunta "scoperta" piuttosto che come una scelta ragionata. Le politiche di divisione ad esempio in India negli anni '40 nella ex Jugoslavia in Ruanda negli anni '90 hanno fatto si che le identità delle persone all'improvviso lasciassero spazio ad identificazioni settarie (da indiano, asiatico si diventa indù, mussulmano, sikh .) con effetti devastanti. Senza dubbio le comunità e le culture a cui si appartiene possono influenzare fortemente il modo in cui si vede una situazione o si valuta una decisione, ma ciò non diminuisce il ruolo della scelta e del ragionamento, né tantomeno è possibile ragionare solo all'interno di una specifica tradizione culturale, e con una specifica identità. Alcune convinzioni culturali di base possono influenzare la natura del nostro ragionamento, ma non è verosimile pensare che la determinino completamente. Influenza non è sinonimo di determinazione. Una persona adulta consapevole ha la capacità di mettere in discussione quello che le è stato insegnato ogni giorno. La capacità di dubitare è patrimonio di ognuno. Nei dibattiti culturali è raro che si contesti questo punto, ma solo per gli appartenenti alla cultura occidentale. Quando invece vengono prese in considerazione altre culture, i vincoli posti dalle rispettive culture vengono considerati più limitanti, stringenti. Tali vincoli sono spesso visti dai fautori dell'importanza di un mondo multiculturale non come qualcosa che limiterebbe la libertà dell'individuo di scegliere il modo in cui intende vivere ma come una positiva rivendicazione dell'importanza dell'autenticità e della genuinità culturale, e gli individui che devono rispettare questi vincoli vengono visti come eroici oppositori della occidentalizzazione. Prima si sostiene l'assenza di scelta a proposito dell'identità sociale e poi si scambiano il conformismo acritico o peggio, assurde schiavitù, per eroica difesa del tradizionalismo. Si vuole negare che le persone nate in una tradizione non occidentale siano capaci di sviluppare un'altra forma di identità. I ragazzi che in tanti paesi non hanno la possibilità di andare a scuola possono non essere in grado di ragionare liberamente, ma questo non implica alcuna incapacità di ragionare, bensì solamente la mancanza di opportunità di farlo. Molto più semplicemente si tratta di istituire più scuole. Le nostre, colorate dai tanti racconti di ragazzi stranieri, possono scongiurare il rischio di pensare che mentre è sufficientemente facile in Europa effettuare scelte ragionate, le culture non occidentali sono ineluttabilmente imprigionate dalla tirannia di un fondamentalismo acritico. Per avvalorare questa credenza, anche sulle belle pagine di cultura de Il Sole 24 Ore, dopo una sola settimana dagli attentati terroristici del 13 novembre, si possono leggere queste parole pronunciate da un famoso poeta siriano,Adonis che vive a Parigi e ch’è considerato tra le voci più importanti del mondo arabo.:”la violenza è intrinsecamente legata alla nascita dell’islam, che sorge come potere.” Alla domanda perché l’islam resiste al cambiamento dopo tanti secoli di storia, risponde: “Non abbiamo tenuto conto della natura umana:il potere,, il denaro e la violenza. L’islam ha risvegliato nell’essere umano l’istinto del possesso. Amen! La natura umana nel mondo occidentale può affrancarsi dalla dipendenza dal potere, e dall’istinto del possesso, il mondo arabo, no! Noi riteniamo invece che le possibilità di scelta esistono sempre, pur con tutti i condizionamenti economici e culturali.
L'istruzione, l'educazione si stanno profilando come la vera utopia rispetto alla globalizzazione che si va configurando come passaggio ad occidente di tutte le altre culture. Roberto Escobar, nel suo bel libro il Silenzio dei persecutori, così descrive l'attuale discorso pubblico: …lo si può "ascoltare", questo silenzio vuoto di idee e colmo di rumori, solo che per un attimo si interrompa la lettura e si tendano gli orecchi alla sconfinata, totale ideologia di un'epoca che si racconta a se stessa come libera dalle ideologie, e nella quale i più hanno finito per smarrire il gusto della decisione e l'etica della responsabilità. Accade così che in un consenso unanime e ubbidiente intere categorie di uomini e di donne - migranti e poveri del Sud e dell'Est del mondo espulsi da ogni speranza - siano considerate tacitamente sub-umane, non-umane e anti-umane, e che su una tale orrida storia interi movimenti politici fondino la propria inquietante legittimità"
Se l’11 settembre 2001 è stato usato per dichiarare guerra ad uno Stato, dopo i tragici fatti del 13 novembre a Parigi, i paesi con velleità di potenze politico-militare si sono affrettate a dichiararsi in guerra con l’obiettivo dichiarato di volere abbattere il califfato, ma con quello recondito di ridisegnare i confini degli stati di una vasta area mediorientale con le relative sfere di influenza e di stabilire infine una gerarchia tra le “potenze” (vedi l’uso di armamenti sovradimensionati per gli obiettivi dichiarati da parte di Putin).Insieme alla retorica della guerra portata lontano da casa, ha fatto la ricomparsa la parola confine che si aggira per le contrade dell’Occidente a volte come fantasma, altre come realtà (vedi gli aiuti europei all’Ungheria per erigere muri). Dei 60 milioni di migranti sparsi nel mondo ben l’80% è stato accolto nei paesi del Sud del mondo e tra quelli che vogliono approdare nei territori della vecchia Europa ben centomila bambini sono morti annegati dall’inizio dell’anno che sta volgendo alla fine. I media popolari sono saturi di ideologia, nell’accezione marxiana del termine. velo, mistificazione della realtà: quella calcolata da Oxfam per gennaio 2016, che la ricchezza detenuta dall’1/% della popolazione mondiale equivarrà a quella posseduta dal restante 99%. Vorrei che ricordassimo tutti questo monito di un grande intellettuale, George Steiner: "Non c'è società, regione, città, paese che sia indegno di venire migliorato. Viceversa nessuna comunità è degna di non venire abbandonata quando l'ingiustizia o la barbarie vi si insediano. La morale deve sempre tenere i bagagli pronti". Giuseppe Costantino
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