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Vangelo di Domenica 26 Ottobre PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
venerdì, 24 ottobre 2014 18:39
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 22,34-40.

In quel tempo, i farisei, udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme
e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova:
«Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?».
Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.
Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso.  Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

(Nella seconda parte, in coda all’Omelia, pubblichiamo il foglio informativo settimanale della Parrocchia di San Giuseppe in Sibari e il commento di mons. Bertolone)

 

XXX Domenica del T.O. A

26 ottobre 2014

Partendo dalla Parola di Dio, che ci viene consegnata in questa XXX domenica del tempo ordinario, potremmo provare a delineare alcune patologie che si possono manifestare nella nostra vita cristiana e che dovremmo sempre prevenire o, se ci accorgessimo di esserne affetti, curare. 

La prima è la “patologia del limite”.

Potremmo dire che essa si nasconde dietro alla domanda del “comandamento grande” fatta a Gesù dal dottore della legge.

Si tratta di una questione che spesso veniva discussa nelle scuole rabbiniche perché agli studiosi della legge interessava sapere quale fosse, di conseguenza, la “gerarchia” dei comandamenti in modo tale da poter mettere dei “limiti”, dei “paletti”, alla propria coscienza.

Per esemplificare: se il comandamento “grande” fosse stato “santificare le feste” allora il fatto che uno “rubasse” non avrebbe costituito un peccato molto grave!

Dietro questo tipo di ragionamento, certamente sbagliato, si nasconde esattamente la “patologia del limite”.

Una seconda patologia potrebbe essere quella del “formalismo”, che Gesù definisce anche “ipocrisia”.

È l’ossessione di sapere esattamente e con minuziosa precisione cosa si possa o non si possa “fare”, ma poi trovare subito un modo per “svuotare” quell’azione di autenticità.

Nel linguaggio comune c’è un detto particolarmente efficace che delinea una tale patologia: “fatta la legge, trovato l’inganno”!

La “patologia del formalismo” si può manifestare in moltissimi modi, uno dei quali potrebbe essere, ad esempio, un’esasperata ricerca del religioso e del sacro completamente slegata dalla giustizia e dall’attenzione agli altri.

Qualcuno potrebbe pensare, ad esempio, di “lodare Dio” perché “fa” tante cose che hanno a che fare con la sfera religiosa e contemporaneamente vivere situazioni in cui, anche solo con la lingua, “uccide” ripetutamente il proprio fratello! 

La terza patologia – ancora più terribile delle due precedenti e che, in qualche modo ne è la conseguenza – è l’”idolatria”.

Nella seconda lettura san Paolo dice che i tessalonicesi si sono convertiti dagli “idoli” a Dio.

Potremmo definire l’idolatria come il “culto esasperato” di se stessi, delle proprie idee, del proprio tornaconto, dei propri interessi.

L’idolatra, in definitiva, “ama in modo assoluto” solo se stesso, mentre Dio e gli altri vengono resi “servi” del proprio “io”: ci si serve degli altri e di Dio per “idolatrare se stessi”!

Si tratta di una patologia terribile, devastante!

La risposta che Gesù dà al dottore della legge costituisce l’unica terapia efficace per curare queste tre patologie: il “grande comandamento” è “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”, cioè con la totalità di sé stessi e delle proprie facoltà!

Ma perché l’amore a Dio non resti solo una bella idea, Gesù, vi aggiunge, immediatamente, il comandamento “simile”, quello cioè che vi assomiglia di più: “Amerai il tuo prossimo”.

E aggiunge “come te stesso”. Il “come te stesso” andrebbe inteso non come la “misura” dell’amore al prossimo ma alla luce della “regola d’oro”, riportata dallo stesso evangelista Matteo: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti” (Mt 7,12).

La “misura” dell’amore, invece, è la “totalità” dell’amore a Dio – il “comandamento grande” – che ci deve spinge sempre a superare i limiti, i paletti. 

Il fatto che l’amore a Dio debba essere “simile” a quello per il prossimo, poi, ci aiuta a superare i formalismi e le ipocrisie, perché dobbiamo continuamente “verificare” il nostro amore per Dio chiedendoci: “Amo questa o quella persona? Allora amo Dio”! ... “Non amo questa o quella persona? Allora non amo Dio!”.

Perciò, anche se dovessi pregare mattina e sera, anche se dovessi andare a messa tutte le domeniche ... non amo Dio come Lui mi chiede di essere amato!

Un’ultima annotazione. La prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, presenta alcune “categorie” particolari di persone: lo straniero, l’orfano e la vedova ... oggi potremmo dire gli immigrati, i poveri, gli ammalati e gli anziani, coloro cioè che si trovano ad essere più deboli e vulnerabili. Proprio queste persone devono essere gli “interlocutori” privilegiati del nostro amore: amando e servendo loro noi amiamo e serviamo Dio!

L’impegno serio in questa direzione, perciò, costituisce la migliore “prevenzione” per le tre “patologia” delineate e costituisce continuamente l’uscita di sicurezza dall’idolatria al servizio del “Dio vivo e vero”, nell’attesa del ritorno del “suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene”. Amen.

 

Cliccare qui per il foglio informativo settimanale della Parrocchia di San Giuseppe in Sibari

 

XXX Domenica del Tempo Ordinario

26 ottobre 2014

Due volti per un solo amore

Introduzione

“Amore”, “amare”: non ci sono parole più usate al mondo di queste. Sono leparole preferite dalle note dei cantanti e dalla penna dei poeti. Sono parole che il soloevocarle suscitano meraviglia e commozione. È difficile immaginare un discorso umano senza di esse: diciamo “amore”, diciamo“amare” e ci sembra di aver detto tutto. Eppure, nonostante la loro concretezza,pienezza e ovvietà, “amore” e “amare” sono estremamente complesse e misteriose,impalpabili, così aperte e traditrici, da costituire insieme una gioia e un dramma. Unagioia perché quando c’è l’amore vero tutto ciò che è intorno a noi migliora, rinnova ilsuo aspetto; un dramma perché in assenza dell’amore tutto è destinato a morire.Così l’ “amore” e l’ “amare” sono anche capaci di compiere miracoli. Perchéciò che nascondono sotto la semplicità della loro veste formale è una forza illimitata,incontenibile e indomabile: “Forte come la morte è l’amore,/tenace come il regnod’amore è la passione:/le sue vampe sono vampe di fuoco,/una fiamma divina!/legrandi acque non possono spegnere l’amore/né i fiumi travolgerlo” (Ct8, 6-7).Tanti volti per due sole parole: un orizzonte troppo ristretto per una realtà tantocomplessa, un cuore troppo piccolo per contenere una forza così prorompente. Illessico che usiamo infatti non ammette distinzioni: la stessa parola, “amore”, è usataper esprimere il rapporto con Dio o con l’altro da sé, sacrificando a questo modol’esigenza di chiarire le varie modalità e intensità con cui si esprime l’amore. Allora, bisogna impossessarsi di un verbo e di una parola greca, rispettivamente “agàpao” e “agàpe”, che traducono la ricchezza dell’amore che va ben oltre ogni misura umana,di quell’ amore che ha la pienezza, la profondità, la sconfinata grandezza dell’amoredi Dio.Quello stesso amore, di cui ci parla Gesù nell’appello evangelico di questa XXX domenica del Tempo Ordinario. L’invito di Gesù, meglio l’appello che Eglirivolge a noi dalle pagine del vangelo di Matteo, è semplice e complesso propriocome l’amore: è appello alla totalità, all’impossibilità; è appello ad amare come amaDio, con radicalità.

Un amore verticale

Dalla provocazione alla lezione del Maestro sull’amore. Una lezione espressasotto forma d’invito dal sapore antico, “Amerai Dio e amerai il tuo prossimo”, ma dalcontenuto fortemente innovativo, per potenza e radicalità: amerai il prossimo comeDio. Dunque, il prossimo diventa simile a Dio, perché l’amore per lui sarà simileall’amore per Dio.Questo è il vero scandalo del Vangelo, la grande rivoluzione portata da esso:amare Dio con tutto il cuore, ma amare anche il prossimo, il marito e la moglie, ilfiglio, il padre e la madre, l’amica e il vicino di casa, lo sconosciuto che s’incontraper strada e persino il nemico, amarli tutti con la stessa intensità dell’amore per Dio.Impossibile ciò se pensiamo al cuore dell’uomo: troppo piccolo per raggiungere talilatitudini. Eppure, se pensiamo ad un cuore abitato da Dio tutto è possibile, perchéDio in noi moltiplica lo spazio del cuore, rendendolo più grande di tutte le cose createtutte insieme.Dio diventa parte di noi se ci lasciamo prima di tutto amare da Lui. Se lasciamoche sfondi le nostre certezze e come acqua impetuosa inondi di tenerezza infinita ilnostro cuore, inebriandolo di quel profumo di santità e misericordia che ci fa piangeredi gioia e consolazione, scopriremo quanto l’amore di Dio sia sempre più grande delnostro peccato e della nostra piccolezza. E serbare il ricordo di questa emozione ci favivere e amare, e, soprattutto, ci fa dilatare i confini del nostro cuore verso Dio, ilprossimo e noi stessi.L’orizzonte che si apre a noi, dunque, è quello di un cuore capace di intonaresplendide “polifonie”, in cui “l’amore di Dio è l’amore principale, il canto fermo,attorno al quale può dispiegarsi il contrappunto degli altri amori. E nasce la polifoniadella vita” (D. Bonhoeffer).L’amore per Dio e l’amore per il prossimo, poi, non possono essere separati: essi siintrecciano diventando una grandiosa e luminosa croce che è piantata nella terra, ha ilvertice in cielo e ha le braccia che avvolgono il mondo intero.Ecco il simbolo della radicalità e dell’intensità dell’amore cristiano: l’amorecrocifisso, l’amore di Cristo. Un amore, quello di Cristo, ardente, tenero eintelligente, non una forza oscura e misteriosa, ma forza manifestata attraverso altreespressioni d’amore tipicamente umane: nuziale, materno e paterno. Basterebbe,infatti, sfogliare le intense pagine di Osea, la cui drammatica vicenda matrimonialediventa l’emblema dell’amore divino che vince i tradimenti, supera i deserti e anela arisorgere; la stupenda celebrazione dell’amore di due fidanzati, sullo sfondo smaltatodalla primavera fiorita e profumata, contenuta nel Cantico dei Cantici, segnodell’amore supremo di Dio, che parla ad Israele col linguaggio degli innamorati. Unamore nuziale, materno e paterno che si schiude nel silenzio dell’essere e ci faesistere, sboccia nelle tenebre del nostro peccato e ci salva.

Un amore orizzontale

Simile all’amore di Dio e per Dio deve essere il nostro amore per il prossimo.Molte sono le immagini bibliche che rappresentano l’amore per il prossimo, tutteconvergono su quattro lineamenti fondamentali: l’universalità; la gratuità, la totalità, la radicalità, nel senso che non risparmia neppure se stessi e la propria vita. Infine,la reciprocità: è, infatti, un arricchimento reciproco; è contemporaneamente un dare eun ricevere; è un prendere solo apparente perché in realtà si ottiene molto di più diquanto si doni. Infatti, è nel dare che si manifesta tutta la potenza dell’amore: nellostesso atto del dare si esprime tutta la propria forza, la propria ricchezza, il propriopotere. Questa sensazione di vitalità e di potenza non può che riempire di gioia, nonpuò che far sentire traboccanti di vita e felicità. Dà più gioia il dare che il ricevere,non perché è privazione, ma perché nell’atto dell’amare ci si sente più vivi.Nel dare tutto se stesso nell’amore e per amore, Gesù, non solo è andatoincontro alla vera vita, ma ha donato a noi la possibilità di partecipare a quella stessavita. Ecco perché l’amore crocifisso è amore risorto.Tutto ciò ci fa capire il vero senso dei due inviti di Gesù, amare Dio e amare ilprossimo: essi non si presentano come precetti fondamentali da seguire per metterciin pace con Dio, ma vogliono piuttosto offrire la prospettiva di fondo con cui viverel’intera legge di Dio; non vogliono imporre un contenuto particolare, pur nobile, masuggerire un atteggiamento generale costante; vogliono indicare un’atmosfera in cui ognigesto e ogni risposta umana e religiosa devono essere collocati; non propongono unoschema o una scala dei valori, ma l’impostazione di un’intera esistenza.Un’esistenza tutta animata dall’amore completo verticale per Dio, e orizzontaleper l’uomo. Due aspetti che sono espressione di un amore unico e inscindibile, e chenel loro incrociarsi e vivificarsi reciprocamente costruiscono “l’essere cristiano” totale e genuino.Se vogliamo, allora, recuperare l’integrità dell’uomo, dobbiamo ritornare allesorgenti dell’amore: il nostro essere strutturalmente creature amanti, perché Amante èil nostro creatore. È nell’amore che si ritrova l’uomo nella sua unità, perché tutto sestesso è coinvolto nell’esperienza dell’amore: “il cuore”, cioè la coscienza, “l’anima”, cioè l’essere vitale fisico e interiore, pensiero ed azione, il sé a tutto tondo.L’amore per Dio e per il prossimo, quindi, non è una generica e nebulosasemplificazione dell’impegno molteplice quotidiano, ma ne è l’architrave e l’anima; èla chiave di volta di tutta l’esistenza umana.

Conclusione

Il sociologo e psicologo tedesco E. Fromm, nel suo saggio L’arte d’amare, esordiscescrivendo: “Ogni teoria d’amore dovrebbe incominciare con la teoria di un’esistenzaumana”, convinto del fatto che l’amore è la sola risposta al problema dell’esistenzaumana.Non è forse questo il significato profondo di quell’invito a lasciarsi amare e ad amare,che sotto forme e specie diverse, ha caratterizzato ogni intervento divino nella storiadell’uomo?Sì, il linguaggio e l’immaginario biblico non lascia dubbi: ciò che si manifesta è lastoria di un amore divino e umano da cui tutta l’esistenza ricava senso. Ciò significache l’uomo di ogni tempo e luogo più è capace di amare e donarsi, più dà senso pienoalla propria vita.E questa verità, soprattutto oggi, non può che riempirci di speranza perché, usando le parole di H. Hesse, alla fine: “Ovunque la suprema saggezza dice che nonsono il potere né la proprietà né la conoscenza a rendere felici, ma esclusivamentel’amore. Ogni altruismo, ogni rinuncia dettata dall’amore, ogni compassione attiva,ogni donazione di sé sembra uno spreco, una privazione, e invece è un arricchimentoe una crescita, ed è anche l’unica via che conduce in avanti e verso l’altro”, o meglio,verso Dio e verso il vero uomo.

Serena domenica

+Vincenzo Bertolone

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