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Vangelo di domenica 23 Settembre PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
sabato, 22 settembre 2012 12:25

ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 9,30-37  - Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse.  Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà».  Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.  Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?».  Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande.  Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:  «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». (dopo la pausa estiva ritornano le Omelie di mons.Vincenzo Bertolone arcivescovo di Catanzaro e  indimeticato pastore della nostra diocesi di Cassano)

 

 

 

 

Domenica del Tempo Ordinario XXV
Lezione di umiltà, lezione di libertà
23  settembre 2012


Introduzione
Gesù è diretto verso Gerusalemme. Ma già da domenica scorsa, con il primo
annuncio della Passione, inizia con i discepoli l’itinerario di umiliazione che Lo
porterà alla glorificazione.
Sarà un cammino in salita, volto a rivelare il mistero di un Dio che si abbassa
per innalzare, che muore per salvare. Questo mistero per essere pienamente compreso
e accettato richiede un cambiamento radicale di pensiero. Ecco perché anche in
questa XXV domenica del tempo ordinario, dalle pagine del Vangelo di Marco Gesù
impartisce ai suoi ed a noi, lezioni di umiltà soffuse di infinita tenerezza.
Il secondo annuncio della Passione provoca negli apostoli una reazione non
dissimile da quella di Pietro. Entrambe dimostrano come i loro pensieri siano “alla
maniera degli uomini” e non alla “maniera di Dio”. Gesù, infatti, parla di croce, di
umiltà e di servizio, mentre i discepoli discutono sul primato. In altri termini si
manifesta quella forte antitesi “primo –ultimo” che è il vero nodo concettuale di
questo episodio e che si coglie con l’affermazione icastica del Maestro: “Se uno vuole
essere il primo, sia l’ultimo e il servitore di tutti”; e con l’immagine conclusiva
dell’abbraccio di un bambino.
Parole e azioni chiudono il discorso sulle qualità del vero discepolo di Gesù:
non basta fare la strada con Lui, bisogna caricarsi oltre che della croce, anche della
sua scala di valori, un radicale capovolgimento delle posizioni e delle “precedenze”
stabilite nel mondo.
È inutile stare ad accapigliarsi per essere “il primo”. Si può parlare, d’accordo,
ma si abbia in animo di scoprire in che cosa è veramente giusto primeggiare. E chi
segue Cristo sa che la vera competizione è quella nell’umiltà e nel servizio, e il
parametro di valutazione si richiama ad una logica che non è quella del potere, che
assegna i primi posti ai più ricchi, ai potenti, ma la logica dell’umiltà, che privilegia i
deboli, gli indifesi, i bisognosi, i bambini, cioè coloro che confidano nella potenza di
Dio, nella forza di un Padre. E come se non bastasse, Gesù afferma non la logica
dell’essere serviti, bensì quella del servire, perché il servizio è la realizzazione più
alta del vivere da “dona-ti”. Due, perciò, sono le lezioni del Maestro di questa domenica: “Una lezione di grandezza e una di libertà. La grandezza ha cambiato aspetto: non consiste nel dominare, ma nel servire; la libertà, portata a compimento, consiste nella forza di darsi” (M. Zundel).
Lezione di umiltà
Scriveva giustamente il poeta Thomas Stearns Eliot:  “L’umiltà è la virtù più
difficile da conquistare; niente è più duro a morire del pensare bene di se stessi”.
Parimenti niente è più duro a morire del desiderio di essere i primi, i migliori, i più
capaci. Sono tutti istinti primordiali degli uomini, corollari del ben più “alto”
desiderio di dominare, di prevaricare sugli altri. Quando questi istinti prevalgono e si
cerca di soddisfare la sete di protagonismo e superiorità, è l’inizio della fine di ogni
gruppo umano (famiglia, comunità, gruppo di lavoro). Inevitabilmente, infatti, i
rapporti si logorano e si fa a gara per emergere, senza risparmiare colpi bassi nella
corsa verso la meta delle “precedenze”.
Anche i discepoli sono colpiti da questa mania, che Gesù stronca. Lo fa usando
parole nuove, mai pensate, mai dette. Sono espressioni rivoluzionarie. Te ne lasci
conquistare oppure devi cancellarle se non vuoi che abbattano il tuo sistema di vita.
“Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo, il servo di tutti”, mette in discussione
proprio il sistema di vita imperante, lo scuote dalle fondamenta. Infatti che logica mai
è questa che addita “primo” chi non occupa il posto d’onore, ma resta ai margini; che
considera “più grande” chi non si serve degli altri, ma serve gli altri; che stima
“saggio” chi non vive per se stesso, ma vive per gli altri? Se pensiamo alla realtà che
ci circonda, questa logica appare follia incapace a farti superare l’esame della vita, le
cui regole sono chiare: ricercare il prestigio e competere per emergere. Ma il
discepolo che intende seguire il Maestro non può percorrere una strada diversa dalla
Sua, perciò alla logica del potere deve contrapporre la logica dell’umiltà che discende
dal cielo. Il vero discepolo è dunque chi alla propria orgogliosa personalità preferisce
la grandezza che deriva da una vita spesa nel servizio degli altri.
Questo servizio non solo si veste di umiltà, ma anche d’Amore, la sola potenza
che Dio conosca, e la sua qualità principale è appunto l’umiltà. Dunque Dio è amore
ed umiltà, perciò Gesù ci invita ad amare e ad essere umili, perché solo così si può
abitare e farsi abitare dal suo Amore. Certo, ci vuole tutta una vita per capire e vivere
l’Amore e l’Umiltà, ma questa è la vita cristiana.
Lezione di libertà
Eppure la vita sembra troppo breve per raggiungere la meta, ma adottando il
punto di vista di Dio, tutto cambia: infatti, visti dall’alto i nostri anni sulla terra sono
kairós, cioè sono l’occasione di affermare in noi l’amore e l’umiltà di Dio. Però
queste occasioni sono fruttuose se ad accoglierle vi è uno spirito libero, ovvero
sgravato di complessi d’inferiorità e di superiorità, i quali bloccano l’azione della
Grazia e ne riducono la spinta a farsi dono. Il complesso d’inferiorità impedisce di fatto il procedere nel cammino: chi ne è affetto, infatti, si ripete di non essere all’altezza del compito, ritiene la conquista della fede al di sopra delle proprie possibilità, per cui, gettando la spugna abbandona  “l’aratro e si volta indietro”. Il complesso di superiorità, invece, ti fa progredire nel cammino, ma in modo sbagliato. Chi ne è affetto crede di essere il migliore e continua la sua corsa in solitario, onvinto di non aver bisogno di nessun aiuto. I due complessi precludono l’incontro con Dio non lasciandogli lo spazio: l’animo di chi soffre il complesso di inferiorità è occupato da un ego svilito, mentre quello affetto dall’altro complesso è dominato da un super-ego. Gesù ci indica oggi che la ricetta è farsi bambini.
Accogliendo i bambini accogliamo Lui, che in essi si identifica. Ciò obbliga a
rivolgere lo sguardo verso il basso, a cercarLo tra i più deboli, tra gli ultimi, tra
coloro che vivono ai margini della società per tanti motivi, quasi mai frutto di libera
scelta, ma imposti con la violenza e l’ingiustizia. Tra questi abita il Signore, giacché i
poveri del mondo costituiscono la sua categoria d’eccellenza e la sua natura si
compiace dell’onnipotenza nell’umiltà.
Inoltre il bambino, per sua natura, ci dice come debba essere il vero discepolo
che sa di non poter contare sulle proprie forze soltanto e così ricorre all’amore di Dio.
E ancora, come il bambino riceve tutto sebbene dia poco, così il discepolo riceve
tutto da Dio nonostante la propria pochezza. E come il bambino pur improduttivo è
fiducioso e tranquillo davanti al futuro, sicuro non di sé, ma dei genitori, forte non
della propria forza, ma di quella con cui lo solleva le braccia del padre, così il
discepolo che anche nei momenti più bui confida nella Provvidenza e non dispera per
il futuro, perché tutto pone nelle mani di Dio e all’ombra delle sue potenti ali assicura
la sua vita. E infine, come la debolezza del bambino è la sua forza, così più il
discepolo si umilia, si annulla, più si manifesta la potenza di Dio in lui.
Conclusioni
Possiamo vantarci della nostra forza e su questa costruire il programma di tutta
una vita; oppure possiamo vantarci della nostra debolezza e lasciare a Dio il compito
di costruire il programma della nostra vita. La scelta spetta a ciascuno di noi, sapendo
che in entrambi i casi il prezzo da pagare è la fatica. Però la prima scelta porta
all’infelicità, la seconda alla felicità, perché solo lasciando lavorare Dio possiamo
realizzare una vita veramente riuscita.
Serena domenica
+ Vincenzo Bertolone

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