Vangelo di domenica 30 Settembre |
Scritto da +V.Bertolone | |
venerdì, 28 settembre 2012 18:50 | |
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 9,38-43.45.47-48. - Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri». XXVI Domenica del Tempo Ordinario La scintilla divina in tutti 30 settembre 2012 Introduzione Proseguiamo il cammino verso Gerusalemme in compagnia del Maestro e dei suoi discepoli. È un procedere anche verso la verità dei Suoi insegnamenti che, per essere bene accolti e pienamente vissuti, necessitano di chiarimenti. Lo abbiamo visto domenica scorsa e lo vediamo in questa ventisettesima domenica del tempo ordinario: Gesù deve intervenire con l’autorità della sua parola per mettere ordine in certe affermazioni, Tutto il vangelo è meraviglioso, ma questo brano di Marco è impareggiabile ; per il dialogo con i lontani questa perla è grandissima. L’autentico apostolo è pieno di gioia per il bene che è seminato in ogni uomo, in ogni cultura e razza, è rispettoso per l’anima di verità dispersa in ogni in ogni uomo, infatti Pascal ha scritto che “ogni uomo è portatore di Dio e della verità”. Partendo da questa verità assiomatica, non solo impariamo a riconoscer-Lo nella persona dei fratelli, negli ultimi e anche in chi consideriamo “lontano” da noi ed impariamo altresì ad essere responsabili delle nostre azioni, del nostro modo di essere affinché non sia diverso dal Suo. Non coltivando in noi questa verità rischieremo di fallire nella vita cristiana, che è vita tout court. Le conseguenze di questo fallimento rovineranno il nostro rapporto con Dio, ma anche con gli altri, di fronte ai quali abbiamo la responsabilità della vera testimonianza. I rischi che corriamo sono gli stessi contro cui hanno inciampato i discepoli: la gelosia (che porta al settarismo, alla chiusura della comunità); e la mancata responsabilità delle proprie azioni, della parola fraintesa, dello sguardo mancato, della carezza e del sorriso negati. Come i discepoli, anche noi abbiamo coscienza di appartenere al piccolo gregge di Dio, ma, come la loro visuale, anche la nostra, troppo spesso, si restringe e si impoverisce del particolarismo: il settarismo. Certo Gesù è il nostro Maestro, ma questo non significa che possiamo chiudere la forza espansiva della sua opera, della sua parola, della sua persona, del suo amore nel recinto della nostra cerchia: Egli non è nostro monopolio esclusivo. Lo Spirito di Cristo infatti non si può imprigionare. Esso come fresco e leggero vento primaverile, feconda con semi di bontà e scintille di verità anche uomini e donne non appartenenti apparentemente a Lui, e la bontà delle loro azioni, il bene che operano ci parlano della presenza, seppure inconsapevole, di quei semi. Allora l’atteggiamento più consono a chi si professa discepolo del Maestro, non è quello della gelosia, piuttosto della gioia: ci si può solo rallegrare nel vedere anche i più piccoli germogli di bene da qualsiasi parte provengano, perché in ultima analisi provengono sempre da Lui. Emerge così il quid che fa la differenza nei cristiani: non è un qualcosa che ci fa migliori di altri e ci mette al di sopra di tutti, è vero il contrario. Ma è “Qualcuno” che ci insegna a scendere in mezzo agli altri, anzi ad aprirci agli altri in un dialogo sincero che non ha paura di confrontarsi, ma che ricerca la collaborazione di quanti, seppure in modi diversi, portano nel mondo luce, orientamento, guarigione, protezione, pace e gioia di vivere. Il coraggio dell’incontro e del confronto ci viene dalla fede, ovvero dalla certezza che Dio ci guida e ci sostiene in questo delicato incontro con l’altro. Senza di Lui non riusciremmo a vedere neppure le scintille di verità, i frammenti di bellezza, i germi di bontà che Lui stesso ha disseminati nell’umanità. Ed è sempre Lui che coltiva in noi quell’amore puro e disinteressato che affascina e stupisce quanti osservano il nostro stile di cristiani. E così facendo non scandalizzeremo, ma edificheremo il mondo, educando tutti indistintamente a riconoscere nello Spirito di Cristo la sola unica fonte di tante luci e di tanti doni elargiti senza distinzione e senza misura. Infine, noi che di quei doni e di quelle luci direttamente abbiamo beneficiato, e continuiamo a beneficiarne, senza alcun merito, perché destinatari della Parola e della grazia dei Sacramenti, siamo chiamati ad una grande responsabilità: quella della testimonianza della fede viva. Essa non riguarda solo un aspetto della nostra persona, ma ci coinvolge interamente, interpella tutta la nostra vita e la scuote dal torpore che sovente ci prende. Tutti siamo stati generati dallo stesso tocco vitale “Non è espressione di pietà volgere il viso [nella preghiera] a oriente o a occidente. È pietà, invece, credere al Dio, credere al giorno finale e agli angeli e alla scrittura e ai nabim [profeti]: è pietà impoverirsi – per suo amore – e largheggiare in beni verso i parenti, gli orfani, gli emarginati, i pellegrini, i mendicanti; è pietà sciogliere le catene ai prigionieri, stabilire il tempo per la preghiera e fare elemosina. Quelli che mantengono gli impegni assunti, i pazienti davanti alla sferza del destino e alla disgrazia e al momento del pericolo… quelli sono i giusti, quelli sono i timorati di Dio”. Se non conoscessimo la fonte di questo testo, potremmo dire che ci appartiene, fa parte della nostra “cultura” religiosa, eppure non è così. Esso è contenuto nella Seconda Sura del Corano. Estrapolato dal suo contesto, chi può dire a chi appartengono queste perle di saggezza. Se non sapessimo che sono proprie di un’altra confessione religiosa, potremmo confonderle con affermazioni simili contenute nella Scrittura. Questo è un chiaro esempio di come la Verità di Dio non è ad esclusivo appannaggio dell’una o dell’altra confessione religiosa, ma essendo Verità unica e assoluta è depositata in tutti coloro che anelano sia pure in modo diverso a ricongiungersi a questa Verità. Cambiano le modalità per raggiungerLa, ma non muta la sostanza, il contenuto essenziale. Ciò avevano capito i primi cristiani: “Immaginiamo che il mondo sia un cerchio, il punto centrale del cerchio sia Dio e i raggi che dalla circonferenza vanno al centro siano le vie cioè i modi di vivere e di credere degli uomini. Poiché dunque i santi, spinti dal desiderio di avvicinarsi a Dio, avanzano verso l’interno, quanto più avanzano, tanto più si avvicinano a Dio e si avvicinano gli uni agli altri e quanto più si avvicinano gli uni agli altri, tanto più si avvicinano a Dio” (Doroteo di Gaza, VI secolo d.C., Palestina). È una immagine chiara del vero credente: non importa da quale punto della circonferenza parta il raggio, l’importante è che raggiunga il centro. Garanzia dell’unità vera, che affonda le radici non solo nella naturale solidarietà umana, ma nella comunione che solo Dio può garantire. Dio è dunque il metro con cui valutare la bontà delle azioni, per saper riconoscere, al di là delle differenze, tutto quanto ci parla di bene, di amore e salvezza da quanto invece è male, odio, guerra. Il Bene, in definitiva, non può che avere come unica fonte Dio, Sommo Bene, in qualunque lingua lo si invochi o lo si preghi. A ragione, allora, più i “giusti” raggiungono il Bene, più si avvicinano fra loro, sempre più si avvicinano al Bene e qualsiasi cosa facciano nella vita, in parole e opere, sarà rivolta al raggiungimento di questo Bene. Arriviamo allora alla prima conclusione di questa domenica: non esistono “noi” e “altri”: se riconosciamo che in tutti c’è questa scintilla divina, che muove verso l’unico Bene, le differenze non ci divideranno ma ci uniranno. Annunciatori di Cristo Questa prima conclusione spinge ad aprire una ulteriore questione: perché allora come Chiesa dobbiamo continuare ad annunciare Cristo, quale unico salvatore di tutti, se anche coloro che operano il bene, seguendo la propria religione, possono salvarsi? La risposta è facile, ma difficile da capire: Cristo è l’unico Salvatore di tutti, anche di quelli che non lo conoscono, perché “è la sorgente originaria dei valori che già possiedono e la meta nascosta a cui tendono, perché tutti sono creati in Lui e orientati alla comunione con Lui” (CdA 574). Se è vero che ogni scintilla di verità, ogni frammento di bellezza, ogni germe di bontà “da qualsiasi parte provenga, viene ultimamente dallo Spirito Santo” (S. Tommaso), questo è un motivo in più perché i non cristiani di buona volontà, che beneficiano di queste luci e di questi doni, siano aiutati a scoprirne la fonte, e quindi a conoscere il nome di Cristo, a riconoscere il suo volto per entrare in un rapporto consapevole e pieno con Lui e con la sua Chiesa. In effetti, come possiamo non sentire un desiderio ardente di condividere con tanti fratelli, che ne sono all’oscuro degli immensi tesori di luce e di grazia (si pensi anche solo alla parola di Dio e ai Sacramenti) che noi, senza alcun nostro merito ma per puro dono, sperimentiamo nella Chiesa? Vero scandalo, dunque, sarebbe non assumerci la responsabilità di continuare ad annunciare al mondo la fonte di ogni bene: Cristo; vero scandalo sarebbe annunciare male la fede in Cristo. Nel primo caso rischiamo di chiuderci come Chiesa, negando a quanti ancora non conoscono Cristo la possibilità di riconoscerLo quale unico Signore della vita; nel secondo caso, ed è ancora più grave, il cattivo esempio provoca disistima e rifiuto della Chiesa, quindi allontanamento da Cristo. E di questi scandali dobbiamo rendere conto a Dio, perché creano impedimenti per la salvezza e per il vero bene, giacché distruggono nel cuore degli altri ogni speranza di salvezza e ogni germe di bene. È vero: un fiore può nascere e crescere anche in un terreno arido e freddo, e così anche la fede in Cristo, senza alcun merito nostro, può nascere nel cuore più duro; ma perché noi, che abbiamo visto la Luce, non dobbiamo essere i primi a portarLa nel mondo? È la nostra vocazione, la nostra missione, l’elemento costitutivo della nostra appartenenza alla Chiesa. Non scandalizziamo, dunque, ma educhiamo, edifichiamo il mondo con le nostre mani, i nostri occhi, le nostre labbra e le nostre orecchie convertite, ovvero capaci solo di fare il bene, di guardare gli altri come Cristo guarda, di pronunciare parole di speranza e salvezza, di capire e ascoltare anche il silenzio di chi non riesce o no sa chiedere aiuto, e ha bisogno dell’amore di Dio. Conclusioni Nella seconda sura del Corano si ripete tante volte il termine “pietà”. Un suo sinonimo è “carità”. Entrambi hanno dunque lo stesso significato, cambia solo la forma. Tuttavia il contenuto che diamo noi cristiani alla parola “carità” racchiude l’unicità di un Dio che non ha disdegnato di farsi uomo in Cristo e che per amore della sua creatura è arrivato a morire per salvarla. Noi non imponiamo questa Verità, perché la Sua conoscenza deve essere scoperta progressiva e libera conquista, però è nostro dovere renderla visibile con la testimonianza della nostra vita che da quella “Carità” è stata generata con amore. Cari amici, impariamo a riconoscere nella imprevedibilità dei gesti di bontà altrui il segno inequivocabile dello Spirito che “soffia dove vuole”.
Serena domenica. + Vincenzo Bertolone
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