Vangelo di domenica 21 Ottobre |
Scritto da +V.Bertolone | |
sabato, 20 ottobre 2012 20:38 | |
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 10,35-45 - E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». All'udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
XXIX Domenica del Tempo Ordinario
Introduzione Ogni domenica la Parola ci dà la possibilità di aggiungere un piccolo mattone all’edificazione di una umanità sempre più conforme all’immagine di Cristo. Ed è sorprendente come attraverso le pagine del Vangelo la voce del Maestro, ci raggiunge e ci interpelli con una sapienza profonda, capace di rispondere davvero ai desideri, ai bisogni nostri. Capita spesso, che desideri e bisogni discendano dalle nostre fragilità, ma sbaglierebbe chi volesse trovare nelle Sue parole un rimprovero. Egli piuttosto ci dà sostegno, ci aiuta ad orientare i desideri e bisogni alla volontà di Dio: desidero, Signore, esaudire non le mie attese, ma le tue promesse. In questa domenica come nella scorsa, la pagina evangelica parte da un desiderio espresso sotto forma di richiesta scaturita da un fatto normale! Giacomo e Giovanni chiedono a Gesù che si realizzi la loro volontà e non quella del Padre, e questa volontà reca in sé un desiderio di potenza, di prestigio, di superiorità, di “ansia” dei primi posti. Tocchiamo con mano quanto la sapienza degli uomini sia distante da quella di Dio; sperimentiamo anche la sconvolgente parola di Gesù, una sorta di uragano che minaccia di travolgere tutto e capovolgere i valori correnti: ciò che prima sembrava importante diventa insignificante, mentre quello che prima era giudicato lontano ora diventa scopo e desiderio dell’uomo. Gesù ci insegna a trascurare …. per concentrarci invece sul progetto di Dio: amore, dono e salvezza. È evidente che non può esserci spazio per il desiderio di dominio: chi ama veramente non può egemonizzare gli altri, nè può isolarsi nel freddo egoismo, ma deve dedicarsi solo allo spirito. Il progetto non prevede la volontà di costruire una società dove i padroni spremono i sudditi. In una società sfruttata nasce l’odio, lo spirito di rivalsa, la vendetta, il tiranno si procura odio, non amore. Il servizio dunque, da categoria umana “bistrattata”, diventa scelta “obbligata” giacché l’immagine più bella che Gesù abbia dato del Padre è quella di un Dio che si fa prossimo all’uomo , si inginocchia per la lavanda dei piedi fatta agli apostoli (Gv 13, 4 – 14). La pagina qui accennata non a caso è collocata come solenne introduzione alla Passione di Cristo, nel segno dell’umiltà e del dolore, ma anche dell’amore e della gloria: l’offerta totale di sé per redimere e salvare l’umanità per amore e rispetto della volontà del Padre. Nel dono della vita è racchiuso il segreto della grandezza del Figlio, il cui trono non è quello gemmato dei potenti della terra, la cui gloria non deriva dal successo delle conquiste compiute, ma fatto di legno appena squadrato e la gloria sono i chiodi della croce. Di fronte a questo mistero di sofferenza, ma soprattutto di servizio, “La strada della croce non è “soffrire”, ma è prima di tutto, “servire” ( J. Delorme), frutto di un amore senza limiti, non si può restare indifferenti. Chi ne fa esperienza resta inevitabilmente catturato e attratto dalla forza di questo amore, al punto che tutto della vita di Cristo, gesti, parole, sentimenti, tutto della Sua morte diventa motivo di vita: Se per me è Cristo ciò che conta di più allora mi abbandono, mi dono, vivo (A. Grun).
Abbandonati alla volontà di Dio per servire gli uomini Madre Teresa di Calcutta amava dire spesso: “Quando si legge una lettera, si pensa a colui che ha scritto la lettera, non alla matita con cui essa è stata scritta…è esattamente questa che io sono nelle mani di Dio: una piccola matita”. Quanti di noi vorrebbero essere trattati come una matita? Un semplice oggetto, comunissimo: che serve a lasciare una traccia delebile e a forza di usarla e temperarla rimpicciolisce fino a diventare un “mozzicone”, che poi viene gettato. Appare perciò ridicolo andare a chiedere a Dio di usarci come una matita, quando è più conveniente chiedergli di assecondare le nostre richieste, dettate dell’egoismo. Ma credere in Dio e decidere in via previa come “quando” e “dove” servirlo non sono due cose compatibili. Mettendo se stessi al centro, anziché Dio, si può decidere di essere il destinatario della lettera, allora, ci si anteporrà a Cristo; e se anche si decidesse di essere la matita, ci sarebbe l’eventualità di nascondere il desiderio di superiorità sotto le mentite spoglie di una falsa umiltà. Nelle richieste che facciamo a Dio, quindi non è Lui che deve piegarsi a noi, ma siamo noi che dobbiamo elevarci alla sua altezza come c’è l’ha rivelata il Figlio, non misurabile con parametri umani, ma celesti. E la sola misura conosciuta dal cielo per valutare l’altezza è la profondità e la sincerità dell’amore che mettiamo nell’abbandonarci totalmente alla Sua volontà, tutto il resto verrà da sé. Il segreto dell’amore è farsi da parte e, ridimensionandoci, lasciare agire in noi illimitatamente il volere di Dio. Del resto è proprio questo che Gesù ci ha insegnato con la sua vita e la sua morte: non chiedere ma, abbandonarsi all’Amore, lasciando al Padre la “contabilità” della ricompensa, la “programmazione” del futuro. Eppure, sebbene Dio ci abbia dato nel Figlio la più grande certezza della vita, ancora non riusciamo a superare i dubbi e le paure dell’abbandono, perché il “come” e il “dove” di Dio continuano a frenarci. Infatti, la strada da percorrere per raggiungere la gloria è quella tracciata da Cristo, con un “come” che lo ha portato ad essere servo e un “dove” che lo inchioda alla croce. Ma è proprio su questi due presupposti, il servizio e il dono di sé, che Cristo ha costruito e continua a costruire sia la civitas Dei, sia la civitas humana.
Un nuovo progetto di comunità Dunque è Cristo stesso ad offrirsi modello di riferimento per realizzare il progetto di una nuova comunità. Nel suo atteggiamento, nei suoi gesti, nelle sue parole, nella sua presenza, la nuova comunità trova la motivazione decisiva della sua legge costituzionale. Dove, secondo il modello del Maestro, il potere si ha in quanto servi, la gloria si raggiunge se si è in grado di abbassarsi, l’autorità si esercita in quanto si è disponibili al dono totale di sé. Una comunità siffatta, cioè una comunità dove uomini e donne sinceramente tendono a conformarsi al modello del Maestro, è segno di forte speranza, dona una valida alternativa alla smania di prevaricazione, dominio, prestigio che avvelenano le relazioni umane. Infatti questa comunità “alternativa” è “una comunità che, in una società connotata da relazioni fragili, conflittuali e di tipo consumistico, esprime la possibilità di relazioni gratuite, forti, durature cementate dalla mutua accettazione…” (Carlo Maria Martini) e fondate sulla profonda convinzione che nessuno è al di sopra degli altri, ma tutti sono servitori di tutti. Tuttavia, non bisogna commettere l’errore di credere che in questa comunità non ci sia alcuna autorità: l’autorità c’è, ma la esercita chi serve gli altri con dedizione fino a consumarsi, rimpicciolirsi, scomparire come una semplice matita, come una candela accesa, proprio come fece il Maestro che non ebbe mai prestigio e si “consumò” per l’umanità. Chi riuscirà a partecipare alla vita della propria comunità con questo spirito di vera umiltà, non sarà certo umiliato, ma ricompensato largamente da Dio, nelle cui mani si è affidato. Conclusioni A conclusione di queste riflessioni affido alla vostra meditazione un pensiero mutuato dalle Massime di Perfezione di Antonio Rosmini, nelle quali si parla della Madre di Dio, sulla cui profondissima umiltà ogni cristiano dovrebbe meditare per poi imitarla. Maria, Madre e Figlia del suo Figlio, è stata la prima creatura a seguire compiutamente l’esempio del Maestro, diventando a sua volta modello per eccellenza di umiltà e servizio. Eppure di lei le Scritture parlano poco: “Nelle divine Scritture la vediamo descritta sempre in quiete, in pace, in continuo riposo interiore. Di sua scelta la troviamo sempre in una vita umile, ritirata e silenziosa, dalla quale viene tolta se non dalla voce stessa di Dio o dai sentimenti di carità verso la sua parente Elisabetta. A giudizio umano chi potrebbe credere che della più perfetta delle creature umane, ci fosse raccontato così poco anche nelle divine Scritture? Nessuna opera da Lei intrapresa, una vita che il mondo cieco direbbe di continua inazione, e che Dio dimostrò essere la più sublime, la più virtuosa, la più generosa di tutte le vite. Per essa quest'umile e sconosciuta giovinetta fu innalzata dall'Onnipotente alla più alta dignità, a un seggio di gloria più elevato di quello dato a qualunque altro, non solo tra gli uomini, ma anche tra gli angeli" (Massime di Perfezione, IV, n.7). L’esempio della Vergine ci aiuta a capire che la corsa ai primi posti, al prestigio, al potere non ci fa arrivare primi al traguardo del Regno di Dio, anzi rallenta la corsa e spesso compromette la gara. Ciò che veramente conta è quanto spazio lasciamo all’azione di Dio nella corsa della nostra vita, e se Dio diventa la motivazione della partecipazione alla corsa e il suo traguardo finale, non importa il tempo e gli sforzi impiegati a raggiungere la meta, saremo comunque sempre vincenti. Serena domenica.
+ Vincenzo Bertolone
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