Vangelo di domenica 11 Novembre |
Scritto da +V.Bertolone | |
domenica, 11 novembre 2012 07:52 | |
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 12,38-44. - In quel tempo, Gesù diceva alla folla mentre insegnava: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave». E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. XXXII Domenica del Tempo Ordinario Due spiccioli per l’eternità 11 novembre 2012 Introduzione In questa trentaduesima domenica del tempo ordinario il Vangelo si conferma ancora una volta il libro “…dei piccoli, degli sconosciuti, degli innominati che sono grandi davanti a Dio” (G. Dehn); il libro che proclama beati i poveri, i sofferenti, i perseguitati, gli ultimi della terra. Il libro di tutti coloro che il mondo giudica inutili, perché protagonisti di una vita anonima, lontana dal clamore e dal plauso della gente, ma senz’altro presenti e vivi agli occhi di Dio. Ed è proprio da questi ultimi che nel brano del vangelo di Marco emerge da protagonista la figura di una povera vedova, che si presenta al tempio con la sua misera offerta di due spiccioli. Se i sacerdoti forse compatiscono il suo gesto, il Maestro che osserva in profondità, la ammira e la innalza ad esempio di carità e fede. Infatti, in questo piccolo quadro di vita quotidiana, dove scribi e ricchi ostentano e la povera vedova furtivamente dona tutto di sé, carità e fede si intrecciano, giacché la carità, spontanea e pronta, sorge solo da una fede fondata e resa viva dalla speranza e dalla fiducia in Dio. E carità e fede sono i parametri di valutazione di Dio, poiché davanti a Lui non conta “quanto” ma “come” e “perché” si dà. Sono il “come” e il “perché” dell’offerta a rendere beati, ossia pienamente compensati dall’amore di Dio, giacché Dio non valuta il “quanto”, ma il “tutto”. Per Lui non è una questione di tasca, ma di cuore. A Dio, in sostanza, non importa la consistenza dell’offerta, ma la provenienza: le due monetine della vedova, date con cuore e sacrificio, valgono più della moneta sonante dei ricchi, moneta data senza cuore e solo per vanagloria personale. Dunque due miseri spiccioli sono davanti a Dio gocce preziose in un oceano di bontà silenziosa che, per amore dei fratelli, che è carità, e per amore di Dio, che è fede, non ha paura di offrire tutto. E così veniamo alla lezione di oggi: Gesù invita ad osservare l’atteggiamento umile e silenzioso della vedova per farci capire che a Dio non si deve dare né tanto, né poco, né nulla, ma tutto. Infatti, a Dio non avremo dato nulla finché non avremo dato tutto. Ma per questo occorre umiltà vera, che è totale abbandono nelle mani di Dio, e un grande amore, anzi un grandissimo amore, che è carità profonda. L’aritmetica di Dio È curioso che le cassette delle offerte nel tempio, siano chiamate “trombe”. Ci viene spontaneo di pensare che il nome non ricordi solo la loro forma, ma anche un certo compiacimento nel mostrarsi offerenti, per sentirsi ammirati dalla gente. Insomma, apparire per essere. Anche oggi, nel nostro contesto, l’elemosina di tanta gente ha bisogno delle “trombe”, anzi in certi casi, senza una adeguata pubblicità, non ci sarebbe neppure “offerta”. Ma il bene, il vero bene, non fa rumore e non cerca il clamore di un annuncio pubblicitario o l’ammirazione della gente. Di fatto, la vedova dell’episodio evangelico non fa rumore, si accosta esitante alla “tromba” e sussurra, con un senso di vergogna, l’ammontare della sua somma. Una cifra da niente per il tempio che vuole tanta moneta sonante. Ma lì vicino c’è Qualcuno che osserva e registra il gesto insignificante, ascolta il rumore impercettibile dei due spiccioli, e all’improvviso tutto cambia. Infatti, davanti a Dio tutto cambia dimensione: il poco della vedova ha molto valore perché è il suo tutto. Il molto del ricco è una mera briciola del suo tutto. Il ricco fa pubblicità per quanto ha donato, perché cerca la gloria degli uomini; la vedova quasi nasconde il suo piccolo dono, perché non le interessa la riconoscenza umana, ma solo quella di Dio. Comprendiamo allora che nella contabilità di Dio le cifre hanno importanza non per la loro consistenza, ma per la loro provenienza: non si tratta di quantità, ma di valore. A Dio non interessa proprio la quantità, ma la qualità, ovvero l’amore che si ha nel cuore, da cui scaturiscono le azioni più belle. Dell’umile vedova del vangelo non conosciamo il volto, lo sguardo e il nome, tuttavia conosciamo, dall’atto osservato e ammirato da Gesù, i battiti del suo cuore, originati dalla speranza che muove la misericordia di Dio: io ti ho fatto più importante della mia stessa vita, Signore, ora tocca a Te pensare a me. Questo è movimento umano di carità, ma sostenuto da una fede pura, fiducioso abbandono nell’Impossibile di Dio. La beatitudine della povertà spirituale Commentando questo episodio del vangelo di Marco, R. Fabris scrive: “Il luogo d’incontro con Dio non passa attraverso il potere cultuale o istituzionale, ma attraverso il cuore povero, cioè totalmente aperto e disponibile a Dio”. Dunque questo episodio è prassi della prima beatitudine matteana: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno di Dio (Mt 5, 3), e il Regno di Dio è la vita eterna, è il possesso di una speranza certa, che risponde ad una sola logica: chi dà tutto vive, chi tiene muore. Perciò “buttare nel tempio gli ultimi spiccioli”, per i molti, non è logico, anzi è insensato, poco saggio, certo non realistico, addirittura scandaloso. Ma questo è lo scandalo della speranza, responsabilmente affrontato da chi possiede la povertà del cuore, ovvero da chi si abbandona incondizionatamente nelle mani di Dio e, dunque, non si stupisce che dando tutto poi riceverà tutto. Questa è la certezza di chi ha fede e sa che in ogni atto, in ogni gesto ce qualcosa di sacro, che ripete e attualizza il grande sacrificio di Cristo e, insieme, la sua grande ricompensa. Perciò facendo e dando con tutto il cuore non si può non essere felici, giacché ci si avvicina all’assoluto di Dio. Quando ciò avviene allora si compie miracolo: la Parola diventa vita capace di dare tanto amore, perché ne riceve molto di più da Dio; una vita che irradia luce, perché da Dio è illuminata. E se tutto viene prima da Dio, allora solo Dio può essere il motivo delle nostre azioni e la ragione delle nostre scelte. In altri termini Egli è il solo primato della nostra vita. Diversamente tutto ciò che si fa o si dice è mera apparenza, vana illusione destinata a perire. Allora, per essere cristiani credibili, anzi di più, cristiani che intendono ridare alla realtà del mondo il suo vero volto, non dobbiamo chiederci “quanto” di nostro dobbiamo dare, ma “come” e “perché” dobbiamo dare. Infatti, ragionando in termini di “quanto”, passeremo il resto della vita a “mercanteggiare” con Dio, perdendo di vista l’essenziale; se viceversa useremo la logica del “come” e del “perché” riusciremo a capire ciò che veramente conta nella difficile arte del donare. E dalle pagine del Vangelo, dalla vita stessa di Cristo e dai suoi insegnamenti deriviamo la sostanza del “come” e del “perché” del dono: il “come” è donazione totale; il “perché” è la certezza che donando tutto non si perderà nulla, anzi tutto e molto di più Dio renderà. Una vita vissuta in questa logica è vita di carità e di fede: donazione totale di sé nell’abbandono fiducioso in Dio. Conclusioni Per tirare le somme di questa breve riflessione, attingo da una delle voci più dissacranti nei confronti del cristianesimo, quella del filosofo F. Nietzsche: “Se la buona novella della Bibbia fosse anche scritta sul vostro volto, voi non avreste bisogno di insistere perché si creda all’autorità di questo libro: le vostre opere, le vostre azioni, le vostre scelte dovrebbero rendere quasi inutile la Bibbia, perché voi stessi sareste la Bibbia viva”. Affermazione fortemente provocatoria, che tuttavia ci obbliga, in quanto cristiani, a fare una scelta. Usciti dalle nostre Chiese, dopo aver celebrato la Messa, dunque aver celebrato la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica, dobbiamo chiederci quale direzione dare alla nostra vita di credenti. Vogliamo essere credenti “ipocriti” che annunciano a suon di “tromba” la propria appartenenza a Cristo, ma la cui prassi non parla di questa appartenenza, oppure scegliamo l’esempio dell’umile vedova del Vangelo, con piccoli gesti quotidiani e con l’umiltà del cuore, il culto della Parola e il culto dell’Eucarestia? Se ogni mattina ci affidassimo a Dio, sicuramente in ogni momento della giornata faremmo la scelta giusta e sottoscriveremmo con la nostra vita le più belle pagine del Vangelo.
Serena domenica + Vincenzo Bertolone |
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