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Le donne nella storia:Onoria (part 1) PDF Stampa E-mail
Scritto da Galatea   
lunedì, 03 febbraio 2014 08:47
ImageUno le invasioni barbariche se le immagina così: da una parte senatori romani e funzionari imbelli, dall’altra capi barbarici grezzi, muscolosi, violenti e furbi. Una faccenda di uomini, insomma, fatta di battaglie, di saccheggi, in cui le donne non entrano se non di striscio, giusto come preda di guerra o vittime di uno stupro dopo che Roma è caduta. E invece, se si leggono le cronache antiche, si resta stupiti nello scoprire che in quel gran bailamme di barbari e di generali romani e di imperatori tutti maschi, le donne, le matrone romane, nella caduta dell’impero ebbero un ruolo fondamentale, decisivo. Tanto che le due invasioni barbariche più note e citate nell’immaginario collettivo, ovvero quella di Attila l’Unno, e dei Vandali di Genserico, sono da legare alla storia di due donne, potentissime matrone della famiglia imperiale. Le donne che sussurravano ai Barbari: Onoria e Licinia Eudossia. (foto: Sofia Loren e Anthony Quinn, nel film del ’54 “ATTILA”)

Onoria (Iusta Grata Honoria, Ravenna 417 - Roma 455 ca.), cominciamo da lei. Fanciulla della Roma bene, figlia di un imperatore, Costanzo III, e di Galla Placidia, figlia di Teodosio, Onoria era sorella di un altro imperatore, Valentiniano III, e di tutta la sua famiglia e di tutto quel potere forse non si interessava, perché fra tante matrone intriganti che la storia di Roma ci ha regalato, lei appare sulle prime abbastanza defilata. Era una ragazzina, del resto. Dalla madre Galla Placidia non doveva aver ereditato nessun intuito per la politica, ma solo una certa bellezza che si univa alla sventatezza tipica di chi è giovane e ricco.

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Iusta Grata Honoria
Come tutte le ragazzine sognava di sposarsi con un principe azzurro un po’ vago e indefinito, e vivere con lui per sempre, cosa facilitata dal fatto che era principessa anche lei. E invece, siccome il mondo non è una favola, fu proprio il suo essere una principessa a renderle impossibili le nozze. Il fratello imperatore, infatti, Valentiniano III, sospettoso e dotato di un carattere violento e accentratore, decise che dare un marito ad Onoria sarebbe stato troppo pericoloso: oltre che un cognato, si sarebbe creato un nuovo pretendente alla successione. Quindi Valentiniano decise che no, Onoria non si sarebbe mai sposata.
Non doveva essere divertente essere costretta alla zitellaggine perpetua per compiacere un fratello sicuramente non del tutto equilibrato, (qualche anno più tardi ucciderà con le sue mani, sgozzandolo a tradimento, durante un’udienza, il generale Flavo Ezio, che gli aveva salvato il trono) e di una madre che a quel fratello dava sempre ragione. Soprattutto non è divertente rimanere zitella a vita quando, come Onoria, si ha un carattere portato a tutt’altro. Ma siccome neanche l’imperatore più potente può prevedere tutto, e le tentazioni si sa diventano più forti quanto più si è in una situazione in cui ce ne sono poche, Onoria, destinata a non sposarsi e con poche possibilità di frequentare giovani del suo rango, non si innamorò di un principe azzurro, ma di un banale intendente e ciambellano, tale Eugenio. Chissà se era bello, o se apparve solo tale alla principessa in virtù di tutto il vuoto e la noia che la circondavano; chissà se lui si innamorò davvero, o pensò che Onoria era un buon viatico per far carriera e salire di status. Fatto sta che i due divennero amanti, così poco cauti, ahimè, da farsi scoprire. Lo scandalo fu enorme: Eugenio venne immediatamente condannato a morte da Valentiniano, Onoria rinchiusa in convento, con la prospettiva di rimanerci a vita o uscire solo per sposare un innocuo e noioso senatore scelto dal fratello, rassegnatosi al fatto che tenerla zitella poteva indurla in tentazioni e causare danni peggiori che accasarla con una nullità.
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Galla Placidia
Ma è qui che Onoria, fino ad adesso al massimo capricciosa principessina sventata, ha una svolta “politica”: lei che dell’impero e delle questioni dinastiche non capiva niente e pareva avere nei confronti del potere una indifferenza totale, fa una mossa totalmente inaspettata. Chiusa nel convento, scrive una lettera a cui unisce un anello con il sigillo imperiale, che le spetta in quanto sorella dell’Imperatore. E la lettera la invia ad un re barbaro. Ma non un re barbaro qualsiasi: la manda ad Attila, il Flagello di Dio.
Capisce cosa sta facendo davvero, dicendo ad Attila che è disposta a sposarlo purché la tiri fuori da quel convento e la porti via da quel mondo e da quella famiglia che odia e da quell’impero che le ha dato solo infelicità? Per noi che siamo abituati a considerare, nel nostro immaginario, Attila come una specie di diavolo barbarico senza cultura e senza civiltà, un mostro sanguinario spietato, deciso solo a razziare le ricche terre dell’impero, il gesto di Onoria appare una mattana incomprensibile, degna di una povera donnetta stupida e sventata: può una principessa romana non rendersi conto di cosa voglia dire promettersi in sposa ad un capo barbaro primitivo e sanguinario, ignaro di leggi e di forme? Ad un Unno, insomma?
Il problema è che quando noi parliamo di barbari e di Unni il nostro immaginario è davvero fuorviato dalla propaganda di secoli, fatta dalla Chiesa che ci teneva a presentare papa Leone come l’ultimo baluardo della civiltà capace di sfidare i bruti razziatori senza pietà e legge, e poi da tutte le incrostazioni degli umanisti e degli intellettuali successivi, volti a presentare i civili Romani come gli eredi della luce, e gli Unni come il riassunto di tutta la violenza, l’oscurità e la disperazione che distinguono il Medioevo.
Ma la realtà è che per una principessa romana il matrimonio con un barbaro era ordinaria amministrazione: la madre di Onoria, Galla Placidia, prima di sposare Costanzo II, era stata data in moglie ad un barbaro, il figlio di Alarico; e da questo primo marito, peraltro, aveva avuto un figlio, Teodosio; quindi Onoria e Valentiniano, in realtà, avevano avuto un fratello maggiore (in realtà morto in fasce) barbaro. Figuriamoci quindi se per Onoria sposare un barbaro poteva sembrare un problema. Aggiungiamoci poi il fatto che gli Unni, questa tribù che nei libri di testo sembra alle volte sbucare dal nulla per razziare e depredare, dai Romani da almeno una trentina d’anni erano invece considerati un alleato strategico e fidato, tanto è vero che Ezio (sì quello che poi li sconfiggerà) era stato per anni ospite ed ostaggio alla corte di Attila, lo conosceva bene e anzi gli inviava anche dignitari a corte come segretari personali. Quindi il Flagello di Dio, quello che a noi pare l’epitome di tutto ciò che è la barbarie più pericolosa, ad Onoria poteva anzi apparire come uno di casa, un capo ed un re già incivilito da anni di contatti con Roma e con la sua famiglia.
Solo che quando Attila riceve la missiva, corredata dall’anello, da quel furbo che è ci legge l’opportunità di entrare a far parte non solo della famiglia imperiale, ma anche si prendersi parte dell’impero. Difatti informa subito della proposta Valentiniano e Galla Placidia, dicendo di essere disposto a sposare la principessa, purché questa gli porti in dote un congruo numero di terre, pari a mezzo impero. Pure con questa mossa si dimostra meno “barbaro” di quanto ci han voluto far credere: rispettoso delle leggi e consapevole delle consuetudini romane, prima, come è bene, si rivolge per avere la mano di Onoria a chi ha legalmente titolo per concederla; e chiede una dote così alta perché gli è ben noto di dover sposare una donna comunque disonorata, in quanto travolta dallo scandalo della relazione con l’intendente.
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Valentiniano da bambino
Valentiniano va su tutte le furie, e Galla Placidia non sa come difendere la figlia: per un attimo forse pensano davvero di maritarla con l’Unno, ma le richieste di Attila sono troppo esorbitanti. Quindi dicono di no, ed è allora che Attila attacca l’Italia, con la scusa di venirsi a prendere una sposa che lo reclama e che un fratello cattivo tiene prigioniera.
Come va a finire lo sappiamo tutti: i Romani non riescono a fermare l’avanzata unna, perché l’esercito di Ezio è ancora in Gallia e ci mette un po’ ad organizzarsi per scendere; Attila invece è velocissimo e Valentiniano non sa che fare, teme di vederselo arrivare in casa. Si muove Papa Leone, che va ad incontrare Attila e gli chiede di andarsene dall’Italia. E Attila se ne va. Per la grande forza di persuasione del Papa, diranno gli storici cristiani dei secoli successivi. Più probabilmente perché sa bene di avere un esercito stanco e che sta subendo grandi perdite per una epidemia di febbri, e teme l’arrivo imminente di Ezio, che lo ha già sconfitto l’anno prima. E forse si rende anche conto che vincere la guerra e portarsi via come moglie Onoria non è poi questo grande affare, perché mezzo impero non glielo daranno mai, e Onoria sarà una moglie inutile, in quanto disonorata e ripudiata ormai dalla sua stessa famiglia.
Così il flagello di Dio sparisce, e morirà qualche anno dopo, senza lasciare eredi e con un regno che ben presto imploderà senza che ne resti traccia. Come poche tracce restano di Onoria, mandata dalla madre a Bisanzio per salvarla dall’ira del fratello.
Resterà però il ricordo di quello che ha fatto: chiamare un barbaro, offrirsi a lui in moglie promettendogli in cambio l’impero. Una idea che prenderà a modello, qualche anno dopo, la cognata, Licinia Eudossia, rimasta vedova di Valentiniano. Ma questo lo racconteremo in un’altra puntata. (continua)

(fonte: Web: Il nuovo mondo di Galatea)

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